Le ultime novità sulla riforma delle pensioni giungono da un interessante confronto che abbiamo avuto con il dott Claudio Maria Perfetto, che oggi ha pubblicato anche un suo scritto sul nuovo portale immagina.eu nella sezione Lavoro ed economia dal titolo: “Ritorno alla normalità: quali prospettive per lavoro e pensioni?”. La piattaforma imagina. eu si legge nella home ha una specifica finalità: “si propone di coinvolgere esperti, pensatori, addetti ai lavori, professionisti, cittadini, nel processo di ripartenza e ridefinizione di un sistema di valori in linea con il tempo che stiamo vivendo. Un sistema che dovrà fare i conti con quanto di inedito e inaspettato sta succedendo a livello mondiale. E che cambierà per sempre il nostro modo di vivere“.
Ed é un pò quello che in questi giorni stiamo cercando di fare anche noi, nel nostro piccolo, coinvolgendo esperti previdenziali e pensatori per comprendere quale potrebbe essere il futuro del capitolo previdenziale. Venerdì scorso abbiamo avuto il piacere di intervistare in esclusiva Domenico Proietti, segretario confederale della Uil, che ha ribadito con forza l’importanza di rilanciare l’uscita flessibile dai 62 anni. Claudio Maria Perfetto, autore anche del libro l’Economista in Camice, edito da Aracne nel 2019, parte anch’egli dall’idea che la flessibilità possa essere l’arma vincente per permettere agli ‘anziani’ di uscire dignitosamente dal mercato del lavoro, e l’unica possibilità per i giovani per accedere al mercato del lavoro, specie dopo il triste scenario economico a cui si andrà incontro post Covid 19. Eccovi le sue parole.
Riforma pensioni 2020 e lavoro: prospettive post Covid 19
Le prospettive di lavoro sono già delineate: la disoccupazione salirà all’11,6% nel 2020 rispetto al 10% del 2019. Significa che in Italia i disoccupati saliranno a tre milioni rispetto ai due milioni e mezzo del 2019.Ad aggravare le prospettive lavorative si aggiunge la ridotta possibilità di trovare lavoro all’estero, poiché, a causa del Coronavirus, anche nel resto del mondo ci sono gli stessi problemi occupazionali presenti in Italia.
I giovani appena laureati vivono giorno dopo giorno alla costante ricerca di un lavoro che da solo non basta, e quindi occorre farne degli altri. È il caso di un giovane con laurea in giurisprudenza e master in giornalismo che svolge cinque lavori diversi, pagati poco, e con le cifre irrisorie che guadagna può versare pochi contributi, insufficienti per potersi costruire una pensione dignitosa; è anche il caso di una ragazza con laurea in architettura che entra nel mondo del lavoro ma che dopo un anno non viene ancora pagata, e per mantenersi lava i piatti nei ristoranti fino a quando matura la decisione di lasciare il suo posto di lavoro per mettersi in proprio e dedicarsi allo sviluppo di una propria attività, di un proprio brand. Chiaro che purtroppo lavori saltuari e mal retribuiti non permettono di costruirsi alcuna forma di previdenza.
Pensioni e lavoro, la flessibilità già richiesta da Boeri
Del problema lavoro e delle prospettive pensionistiche se ne parlava nel 2016 quando l’allora presidente dell’Inps Tito Boeri annunciava l’invio delle buste arancioni che indicavano per la generazione degli anni 1980 la prospettiva di andare in pensione a 75 anni. Boeri stesso sollecitava nel 2016 la flessibilità in uscita nel sistema pensionistico perché “c’é una penalizzazione molto forte dei giovani. Il livello di disoccupazione è intollerabile. Il tema dell’uscita flessibile va affrontato adesso”.
Un allarme sulla disoccupazione generazionale lo lanciò sempre nel 2016 l’allora presidente della Bce Mario Draghi, quando affermava che “le prospettive per l’economia mondiale sono circondate da incertezza” e “si pongono interrogativi riguardo alla direzione in cui andrà l’Europa e alla sua capacità di tenuta a fronte di nuovi shock”. Draghi poneva allora l’accento sull’alta disoccupazione giovanile che colpiva “la generazione più istruita di sempre” e dava anche un suggerimento che suonava come un’esortazione e al tempo stesso come un monito: “Per evitare una generazione perduta dobbiamo agire velocemente”.
Sono trascorsi quattro anni da quando Boeri e Draghi hanno lanciato l’allarme sulla disoccupazione giovanile e generazionale. Nel 2016 il tasso di disoccupazione era all’11,4% mentre quest’anno, nel 2020, si stima che sarà all’11,6%. Gli allarmi di Boeri e di Draghi sono ancora attuali e ancora più pressanti.
Pensioni: lavoro meno intermittente, più tutela per le donne, e più flessibilità
Sono più pressanti perché la ragazza architetto dovrà competere con il robot lavapiatti, il giovane infermiere dovrà competere con il robot infermiere, il giovane con la laurea in giurisprudenza aspirante al posto di reclutatore in un’azienda dovrà competere con il recruiter robot dotato di intelligenza artificiale.
Automazione e tecnologie informatiche stanno accelerando la trasformazione digitale delle nazioni. Teledidattica (e-learning) e telelavoro (smart working) hanno varcato i confini di scuole ed aziende e sono entrate di prepotenza tra le mura domestiche. Per sostenere la trasformazione digitale è necessario un ricambio generazionale perché i giovani si adattano più velocemente alle nuove tecnologie e ai nuovi modi di lavorare. È necessario favorire il pensionamento dei sessantenni, il solo modo per liberare posti di lavoro da dare ai giovani in un’economia stagnante prima e in recessione ora (se non in depressione).
Con la trasformazione digitale le donne saranno, ancora una volta, penalizzate: il doppio lavoro (in azienda e in casa) che oggi svolgono in modo separato, con lo smart working lo svolgeranno in contemporanea.
Lavori intermittenti e paghe basse non consentiranno ai giovani di formarsi una pensione adeguata. Bisognerà garantire ai giovani un lavoro, ancor prima di una “pensione di garanzia”; bisognerà garantire un salario minimo a chi lavora, e una copertura per i vuoti contributivi a chi lavora saltuariamente; bisognerà favorire il ricambio generazionale e tassare i robot. Lo si potrà fare utilizzando la moneta digitale di Stato.
Ringraziamo Claudio Maria Perfetto per averci dedicato del tempo, vi invitiamo a leggere il suo elaborato anche sulla piattaforma immagina.eu, e ricordiamo a chiunque volesse riprendere parte delle considerazioni a noi rilasciate che trattandosi di esclusiva é tenuto a citare la fonte.
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Estendere l’opzione donna agli uomini di pari eta’ altrimenti saranno tutti esodati di tipo 2
da sars-cov-2;
oppure permettere a queste fasce d’eta’ un credito contributivo da restituire alla pensione;
fare per davvero una riforma pensionistica che parta dal recupero dell’evasione contributiva
a piena responsabilita’ di Anpal e Inps;
stabilire una quota nazionale di pensione e quindi anche di reddito al quale equiparare
lavoro e pensione lasciando ad aziende e lavoratori le integrazioni salariali in base al
profitto da lavoro; una quota quindi indipendente dai contributi versati e definita tale
per la quale si assicura la dignita’ sociale di sopravvivenza e coesione sociale
Da tanto tempo oramai si parla di pensione e disoccupazione giovanile ,tante le ipotesi fra cui alcune ottime ma nessun intervento in merito.I politici non fanno altro che propaganda elettorale lasciando le cose anche se inconcepibili allo stato attuale fa comodo portare tutti a 67 anni anche se tanti non ci arrivano :aspettando che al turno successivo i nuovi politici risolvano i problemi legato al mondo del precariato giovanile perché oramai questo è il lavoro che svolgono i nostri giovani Io penso che a 60 anni si è dato abbastanza e si debba dare la possibilità all’individuo di poter scegliere se restare ,o andarsene in pensione anche se: non avendo maturato i 35 anni di contributi Fatto questo penso che tanti giovani riuscirebbero a trovare più facilmente un lavoro immaginando che l’ufficio di collocamento ritornerebbe a funzionare come negli anni 70 dove a casa ti arrivava una lettera che ti diceva dove presentarti per un colloquio lavorativo.Utopia?
Il Dott. Perfetto ha ragione, peccato che sia uno dei pochi che usa il buon senso…. Inutile mettere soglie di età minima ora che i contributi li abbiamo in molti senza l’utilizzo di quota 100…. l’obbiettivo di chi gestisce le pensioni è di spostare sempre più avanti il paletto e non mi meraviglio se prima del raggiungimento dei 43 anni non trovino il modo di rendere la pensione tutta contributiva, con un enorme risparmio per le casse dell’INPS….. 41 per tutti sarebbe stata la soluzione più equa e avrebbe creato spazi nuovi per i giovani, ma i politici vedono solo fine a fine mandato e non oltre…. Pensino piuttosto a dare incentivi alle aziende che, tramite una formazione con affiancamento di un periodo minimo con un giovane, poi possano mandare in pensione chi i contributi li ha versati. Si attuerebbero dei passaggi generazionali quasi automatici, non come quota 100 che ha solo alleggerito gli organici di tantissimi enti e niente più….
Aspetto da più di un anno la cosiddetta Quota 100 rosa. A breve Quota 100 scadrà ed a me, per pochi mesi di contributi che mancano, toccherà assurdamente lavorarare altri 5 anni facendo al tempo stesso la figlia e la nipote che si occupa della madre e della zia, la nonna che si occupa del nipotino (a nidi chiusi), la moglie e la madre – lavorando intanto, certo! Basta non dormire più. Facciano con comodo a decidere invece politica e sindacati.
Idee vecchie, o meglio già discusse, raccolte in un calderone di buone iniziative che non saranno mai realizzate.
Perché? Perché mancano i soldi e post-covid ne mancheranno ancora di più!
Nessuno dei nostri politici avrà il coraggio di fare una vera riforma lavoro-pensioni con uno stretto legame fra i due perché più che “il bene del Paese” che vanno ribadendo un giorno sì e l’altro pure, conta la poltrona e relativi privilegi.
Sig. Salvatore (primo), lei ha utilizzato la parola “post-covid”. Ormai pressoché tutti si esprimono dicendo “prima del covid” e “dopo il covid”. Proprio come quando si dice “prima della guerra” e “dopoguerra”.
Prima del covid, lavoro e pensioni potevano essere due cose diverse, da trattare in modo diverso e separato. Da trattare su due tavoli diversi.
Dopo il covid, lavoro vuol dire “pensioni” (che ora più più di prima vengono pagate con i contributi versati dai lavoratori attivi) e pensioni vuol dire “posto di lavoro” (che ora più di prima viene occupato solo se viene lasciato vuoto un posto da chi va in pensione).
Con l’alta disoccupazione che ci sarà non ci saranno soldi sufficienti per pagare le pensioni. E se la gente non potrà andare in pensione non ci saranno giovani che potranno riavviare l’economia che sarà necessariamente fondata sulle tecnologie digitali verso le quali sono proprio i giovani a nutrire maggiore dimestichezza (so questo per esperienza personale perché so come si comportano i sessantenni e come si comportano i trentenni dinanzi a tecnologie e modi di operare completamente nuovi).
Pertanto, credo proprio che i nostri politici privi di coraggio si trovino in una strada senza uscita: quel coraggio di fare una vera riforma lavoro-pensioni dovranno quindi trovalo. O da soli, o sarà il popolo ad aiutarli a trovarlo (con elezioni, con referendum, o in altro modo).
Persone senza contributi prendono 780 euro mensili di reddito di cittadinanza, donne con 65anni di età e20 di contributi nemmeno la pensione minima.. perché queste ingiustizie??? Non dimenticateci!
Condivido pienamente quanto espresso da Dott. Claudio Maria Perfetto!