......

Riforma pensioni 2020 ultime proposte: Quota 40 o via dai 60 anni, voce ai lavoratori

In questi giorni, specie dopo il rinvio al 25 settembre del primo tavolo di confronto tra Governo e sindacati che era programmato per l’8, proseguono le discussioni sui social e sul nostro sito circa quella che i lavoratori vorrebbero vedere approvata come riforma delle pensioni. Tra le tante proposte, quelle che spiccano sono una quota 40, ossia la possibilità di ritirarsi dopo 40 anni di contributi versati, ed una flessibilità in uscita dopo i 60 anni senza penalità alcuna. Viene richiesta al Governo altresì una maggiore valorizzazione del lavoro di cura svolto dalle donne, una divisione tra assistenza e previdenza e l’individuazione, quanto prima, delle categorie che svolgendo lavori usuranti avrebbero maggiormente diritto ad uno ‘sconto’ pensionistico. I lavoratori ormai sono divenuti parte integrante del dibattito, molti di loro lasciano disanine davvero pertinenti e costruttive sul sito, al punto che ci pare doveroso poter dar loro voce, nella speranza che tra i tanti politici e sindacalisti che leggono, qualcuno abbia voglia e magari modo di confrontarsi con i nostri lettori sulla fattibilità o meno delel stesse idee. Oggi vi proponiamo le interessanti considerazioni della Signora Veronica.

Riforma pensioni 2020: Ecco cosa dovrebbe contenere la prossima riforma

“Tornando alla riforma, penso si debba tornare alla modularità dei requisiti dando modo di accedere alla pensione o per anni di età o per anni contributivi, senza paletti e senza penalizzazioni e procedere con la separazione tra previdenza e assistenza. E’ urgente individuare le reali categorie di lavori usuranti che debbono giustamente beneficiare di uno sconto pensionistico in considerazione della gravosità del lavoro svolto, non capisco perché per i ballerini è previsto l’accesso alla pensione anticipata e per altre categorie di lavori gravosi no (non me ne vogliano i ballerini, è per fare un raffronto).

Anche per le donne è necessario uno sconto pensionistico, senza penalizzazioni e senza discriminazioni fra chi ha avuto figli e chi no. Secondo me, nel riformulare i requisiti di accesso alla pensione, bisogna discriminare tra le attività apicali, dirigenziali, intellettuali, altamente professionali (ambito universitario, sanitario, politico ecc…) e quelle della platea di lavoratori salariati che sottostanno a rigidi orari, ai quali, siano essi operai o impiegati, non si può chiedere di lavorare ad oltranza oltre i 60 anni. Vorrei che i politici e i sindacalisti si calassero nella realtà di un lavoratore che timbra per quattro volte al giorno, anche “solo” per 40 anni o che fa lo stesso lavoro per tutta la vita, senza possibilità alcuna di miglioramento! Non sarà considerato un lavoro gravoso ma almeno usurante o alienante credo proprio di sì“.

Riforma pensioni 2020: 40 anni di contributi sono più che sufficienti

Veronica continua: “Partendo da queste considerazioni penso proprio non si possa chiedere a questa categoria di lavoratori di superare la soglia dei 40 anni di contributi, deve essere data loro la possibilità di staccarsi dal mondo del lavoro e accedere alla pensione, SENZA PENALIZZAZIONI, visti i salari italiani già bassi, se confrontati con altri paesi europei che non siano dell’Est.

L’aumento dell’aspettativa di vita lo abbiamo già pagato con le riforme che ci hanno portato dai 35 anni di contributi di quando abbiamo iniziato a lavorare ai 40 anni, non credo che l’aspettativa di vita si incrementi incessantemente con il trascorrere del tempo, anzi la storia recente ci dice il contrario (vedi pandemia da Covid19). Per quanto riguarda la sostenibilità, va considerato il fatto che un lavoratore che accede alla pensione in un’età non proprio decrepita, darebbe il suo contributo all’economia spendendo parte della sua pensione in attività varie (culturali-ludico-turistiche per esempio) anziché tenere bloccati i propri risparmi nell’incertezza di un futuro che non si delinea mai”.

Ringraziamo la Signora Veronica per il lungo commento rilasciato in esclusiva per il nostro sito e vi chiediamo la vostra opinione, siete d’accordo con quanto da lei messo in luce, la riforma delle pensioni e dunque il prossimo tavolo di confronto tra Governo e sindacati dovrebbe partire da queste considerazioni?

Pensionipertutti.it grazie alla sua informazione seria e puntuale è stato selezionato dal servizio di Google News, se vuoi essere sempre aggiornato sulle nostre ultime notizie seguici tramite GNEWS andando su questa pagina e cliccando il tasto segui.

31 commenti su “Riforma pensioni 2020 ultime proposte: Quota 40 o via dai 60 anni, voce ai lavoratori”

  1. Buona sera, iniziando a lavorare a 30 anni se tutto va bene con 35 anni continuativi di contributi si va a 65 anni di età in pensione.. Tralasciando questo particolare si deve scendere il minimo di contribuzione a 30 anni dando la possibilità a chi vuole a 60 annibdi uscire dal mondo del lavoro senza penalizzazioni, in quanto l’assegno sarà più basso in ogni caso sia per i contributi effettivamente versati sia perché il calcolo è interamente contributivo. Anzi mi sa che in futuro chi non integra con un fondo integrativo vedrà di conseguenza diminuito l’assegno pensionistico. Quindi a chi ci rappresenta dico di andarci piano con le penalizzazioni…..Francesco

    Rispondi
  2. Premesso che non che non ho nulla contro il genere femminile e condivido molte delle rivendicazioni portate avanti dalle donne, vorrei condividere alcune mie considerazioni relative a pensioni e genere che, il commento di Veronica ed in particolare il passaggio: “Anche per le donne è necessario uno sconto pensionistico, senza penalizzazioni e senza discriminazioni fra chi ha avuto figli e chi no”, mi hanno suscitato.
    Partendo da due dati di fatto: la vita media del genere femminile attualmente è di 4,3 anni più lunga di quella maschile; nel calcolo della pensione non si tiene conto del genere del pensionando; da ciò mi sembra derivi già un apprezzabile sconto pensionistico (4,3 anni) riservato alle donne, a cui mi sembrerebbe inopportuno aggiungerne indiscriminatamente altri, anche tenendo conto che: le pensioni vanno verso il solo calcolo contributivo, la natalità e in costante diminuzione e il numero dei single aumenta. Secondo me sarebbe molto più opportuno tendere ad un’operazione di giustizia e legare sempre di più l’età pensionabile a tutti i lavori svolti (compresi quelli di cura) ed alle condizioni oggettive della singola lavoratrice/lavoratore: tipi di lavori svolti, salute, figli; famiglia; precariato; ecc. e non indiscriminatamente al genere del lavoratore.

    Rispondi
  3. Si parla di quota 41. Ma un lavoratore discontinuo, mi chiedo quando potrà andare in pensione. Un lavoratore di 30 anni con contributi continuativi andrà a 71 anni. Ma questa la chiamate riforma?. Mi sembra dire voglia significare morite lavorando

    Rispondi
  4. Trovo molto interessanti due punti in particolare, e cioè quando la signora sottolinea che:
    1
    è necessario discriminare tra le attività apicali e quelle della platea dei salariati che sottostanno a rigidi orari, ai quali non si può chiedere di lavorare ad oltranza oltre i 60 anni.
    2
    un lavoratore che accede alla pensione in un’età non proprio decrepita, darebbe il suo contributo all’economia spendendo parte della sua pensione in attività varie anziché tenere bloccati i propri risparmi nell’incertezza di un futuro che non si delinea mai.

    Sono due osservazioni acute, sarebbe utile che i nostri politici rifletessero anche su queste.

    Rispondi
  5. Sono assolutamente d’accordo col suo pensiero sig.ra Veronica. Leggevo su questo sito, in un’altra discussione, il commento di un lettore che diceva, citando l’istat, che la speranza di vita in “buona salute” è attorno ai 58/59 anni. Dunque se mediamente si rimane in buona salute fino ai 58 anni, fino a quell’età si può lavorare, successivamente bisogna lasciare la possibilità ai singoli individui di decidere se continuare oppure pensionarsi. Quindi d’accordo con lei che dopo 40 anni di contributi versati (a volte gli anni lavorati sono pure di più) si debba andare in pensione a qualsiasi età anagrafica, mentre oltre i 60 deve decidere ognuno di noi, magari si può pensare a una sorta di bonus per chi se la sente di continuare.

    Rispondi
    • Sono d’accordo e ho già espresso più o meno le stesse considerazioni con miei commenti, alcuni pubblicati, altri no.
      Particolare attenzione alle donne, sia che svolgano lavori usuranti o meno (salariate o impiegate), e comunque in generale a tutti coloro che lavorano.
      A partire dai 35/36 anni di contributi, a prescindere dall’età, chiunque dovrebbe poter scegliere di andare in pensione senza altri paletti nè penalizzazioni.
      Si avrebbe una pensione proporzionata ai requisiti versati: chi ha versato meno avrebbe un assegno pensionistico più basso, chi ha versato di più uno più alto, con la possibilità di poter tuttavia continuare a lavorare, una volta raggiunti i suddetti requisiti (35/36 anni di contributi) qualora si volesse, o qualora le condizioni di salute fossero buone.
      Inoltre, una penalizzazione ci sarebbe già, vale a dire un assegno pensionistico calcolato interamente
      con il sistema contributivo rispetto al precedente retributivo ( come pare si sia già orientati).

      Rispondi
    • Ok, allora fino a 58 e poi basta, anche perché l’ISTAT potrebbe generare la rabbia di tanti 58enni ammalati, non si capisce perché gli insegnanti over 55 con patologie siano restii a tornare al lavoro per paura del covid, in teoria dovrebbero godere tutti di ottimissima salute. Forse e’ meglio se lo lasciamo stare l’ISTAT. Anche la parola “aspettativa di vita ” bisognerebbe ridefinire.

      Rispondi
  6. Brava Veronica! Tutto assolutamente condivisibile!
    40 anni di contributi sono tantissimi e sufficienti altroche!
    In alternativa 60 anni di età, anche qua sufficienti, il tutto senza penalizzazioni.

    Rispondi
  7. Fermo restando che a mio parere, a chi ha lavorato per 40 anni dovrebbero dare una medaglia oltre che la pensione, personalmente sono più interessata ad una possibilità di uscita dopo i 60 anni con pensione di vecchiaia. Impossibile secondo me aspettarsi un’uscita senza penalità anche se ne avremmo diritto, visto che prima della odiata riforma era così. Quello che mi preoccupa enormenente ora è che recentemente non leggo più articoli che riportanano le iniziali proposte sindacali, in primis quella del signor Ghiselli, di uscita a 62 con 20 anni di contribuzione, anche con accettazione di penalità.
    A quanto leggo si è passati direttamente a quei 36 o 38 a cui molte persone e credo soprattutto donne non raggiungeranno neanche ai 67 anni di età.
    Quindi chiedo gentilmente se qualche sindacalista ci legge, o agli autori del sito se avranno modo ed occasione di chiedere:
    Si pensa ancora di portare avanti questa per me vitale proposta, o ci dobbiamo rassegnare al fatto che è caduta nel dimenticatoio e sostituita da altre fortemente punitive?
    Grazie

    Rispondi
    • Concordo in tutto con Angela e mi associo alla sollecitazione ai sindacati.

      Spero che ne capiremo qualcosa di più già dopo il primo incontro governo-sindacati del 16, almeno in termini di impegno delle sigle sindacali, ma ancor di più dopo quello del 25.
      Anche se mi aspetto molte ulteriori settimane, forse qualche mese, prima di vedere poi le soluzioni effettive concordate.
      Ma capire le strade che si vogliono percorrere è già importante.

      Come ho già detto, è un’occasione da non perdere, quello di inserire la riforma pensionistica nello sforzo per far ripartire il paese, perchè il ricambio generazionale al lavoro, come spesso qui ha scritto il Dott. Perfetto, è imprescindibile non solo per questioni di decenza sociale verso gli anziani ma anche per l’economia, che richiede più giovani al lavoro e che possano consumare di più.

      Io posso solo incrociare le dita, sperando che i sindacati tengano fede alle buone idee finora espresse.
      Hanno milioni di persone dietro di loro a supportarli (o a criticarli pesantemente se ne venissero delusi).

      Le francamente ridicole tre ore di sciopero a fine turno (!) come “opposizione” alla Fornero ce le ricordiamo tutti, ma diciamo che allora erano altri tempi, in una situazione (giusta o sbagliata che fosse) di grande panico e dove ancora sembrava che i “tagliatori di costi a prescindere” potessero essere i “salvatori” dell’Italia.
      Poi si è visto quanto ciò ha stoppato il PIL italiano e poi sono arrivate le politiche UE lacrime-e-sangue, esempio massimo sulla Grecia, a deprimere le economie, tanto che alla fine si sono levate voci autocritiche nella stessa UE e con il COVID-19 si è cambiato per ora totalmente rotta.

      A governo e sindacati proseguire su questa nuova rotta invece di tornare indietro verso già navigate acque stagnanti e malsane, checchè ne dicano le Fornero e i Cazzola.

      Rispondi
    • Mi chiamo Renato, concordo con Angela ed aggiungo, la parificazione tra uomo e donna all’atto della determinazione del momento di uscita dal mondo del lavoro non è accettabile , come già espresso da qualche commento le donne sopra tutto quelle con figlio/a oltre al lavoro in azienda devono sopportare un carico enorme di adempimenti dettati dalla famiglia, lo stato continuamente pubblica nel merito dicendo che in Italia non si fanno più figli ma chi li fa viene abbandonato, il carico di lavoro fuori azienda è fortemente usurante e deve essere premiato riconoscendo 5 di contributi figurativi per ogni figlio messo al mondo, questa potrebbe essere una ipotesi , comunque all’età di 60 anni e almeno 20 anni di contributi versati avere la possibilità di uscire dal mondo del lavoro con il calcolo contributivo quindi nessun regalo ma senza penalizzazione

      Rispondi
  8. Dal gennaio 2021:
    proposta:
    1. Dove c’è scritto 67……….leggasi 65
    2./3. Dove c’è scritto 41+10 mesi+ 3….. e dove c’è scritto 42+10 mesi +3…..leggasi 41 (non capisco tenere differenziate le cose quando poi al punto 5 equipara uomo e donna) senza penalizzazioni.
    4. Via quota 100….leggasi quota 100 comunque raggiungibile. (senza penalizzazioni)
    5. Opzione donna = anche uomo
    6.particolari disposizioni per disoccupati over55
    7. Separazione previdenza / assistenza
    8. Futura flessibilità a 62 anni a discrezione lavoratori
    9. Dopo 41 anni, per chi continua, contributi in tasca al lavoratore
    Paolo e emilio

    Rispondi
  9. Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, riferendosi ai dati del 2018, ha detto che la spesa pensionistica supera di poco più il 15% del Pil e non è solo previdenziale ma anche assistenziale (il 3%). La spesa per la previdenza risulta essere dunque il 12% del Pil. Se poi si tolgono i 58 miliardi di Irpef che i pensionati versano e rientrano allo Stato, la spesa pensionistica vera e propria scende all’8% del Pil (quanto afferma Tridico è anche in linea con quanto afferma l’onorevole Cesare Damiano nell’articolo della giornalista Erica Venditti del 4 settembre 2020).

    Nel 2018 il Pil è stato pari a 1754 miliardi di euro. Scorporando l’assistenza dalla previdenza, si hanno 52 miliardi (il 3% di 1754 miliardi) da impiegare in più per le pensioni. Bene, diciamo pure che con 52 miliardi si riesca a fare un’ottima riforma pensionistica (quella, per esempio, che ci espone la sig.ra Veronica).

    Bisogna ora trovare 52 miliardi per coprire le spese di assistenza.

    Si potrebbe, tanto per cominciare, usare una parte degli 82 miliardi del Recovery fund che sono a fondo perduto. Visto che sono “a fondo perduto”, l’Europa (ad esclusione dei Paesi frugali, s’intende) non avrebbe nulla da obiettare su come l’Italia impiega tali fondi. Si ha quindi la copertura per l’assistenza per l’anno 2021.

    Per coprire le spese di assistenza in modo strutturale dal 2022 in poi occorrerà trovare altre fonti alle quali attingere. Si potrebbero dimezzare gli stipendi dei parlamentari (Vito Crimi ha calcolato un risparmio attorno ai 60 milioni l’anno – all’atto pratico, noccioline). Si potrebbero eliminare gli enti inutili, le province, gli sprechi statali… non si è riusciti a farlo in passato, tanto meno si riuscirà a farlo ora.

    Si potrebbe recuperare almeno la metà dei 100 miliardi annui dall’evasione fiscale. Ma tutto ciò che si riuscirà a recuperare con il contrasto all’evasione fiscale (vogliamo proprio sbilanciarci e dire 10 miliardi di euro l’anno?) il Ministro dell’Economia Gualtieri l’ha già ipotecato per il taglio delle tasse.

    Conclusione: per trovare in maniera strutturale la copertura alle spese di assistenza pari a 52 miliardi ogni anno, allo stato attuale la sola cosa che si possa fare è quella di aumentare le tasse.

    Assistenza-previdenza-lavoro-investimenti-imprese-Stato: è una filiera che va vista nella sua interezza. Se si percorre la filiera da sinistra verso destra ci si concentra sul lato delle uscite, e quindi sul fronte del risparmio. Se si percorre la filiera da destra verso sinistra ci si concentra sul lato delle entrate e quindi sul fronte dei consumi. Io partirei dunque dallo Stato che con le imprese genera investimenti per dare occupazione a chi non lavora che subentra a chi va in pensione e paga le tasse per coprire le spese di assistenza.

    Rispondi
    • La sua analisi è molto dettagliata e precisa. I 58 miliardi si spera diminuiscano se il lavoro prendesse una piega più positiva con meno licenziamenti.. Tuttavia visto il pessimismo dilagante , che concordo in toto, sulla possibilità di recuperare almeno il 50% dall’evasione fiscale !!!, credo che lo Stato potrebbe benissimo trovare parte di quei 58 miliardi, ( dopo la riduzione di tutte le spese dei parlamentari, anche fossero solo 1000 euro a testa) , dai 105 miliardi annuali che il popolo italiano spende in giochi d’azzardo e macchinette…

      Rispondi
    • Grazie signor Perfetto!
      Per quanto possa valere la mia opinione, sono fermamente convinta che su questo sito commentano alcune persone, come Lei, Carlo o altre persone con capacità sicuramente superiori alle mie, che per chiarezza di idee e competenza, meriterebbero, più di alcuni che ci sono, di sedere al tavolo delle trattative.
      È sconsolante pensare che certi pensieri o disamine che leggo qui, non vengano elaborate anche da chi ha in mano il nostro futuro.
      Vedo espresse delle idee di possibili scelte anche a livello economico, talmente logiche ed elementari, che rimango esterrefatta di non trovarle in chi ha in mano il nostro futuro.
      Vi sono grata di essere qui a scrivere, vorrei tanto, ma proprio tanto, che vi leggessero, e mettessero in pratica.

      Rispondi
      • Angela le assicuro che però le vostre disamine vengo lette da chi é al tavolo delle trattative, di questo ne ho evidenza perché mi confronto con i sindacalisti molto spesso. Però come lei può ben intendere non tutte le proposte sono presentabili, perché alcune, già a priori, per sostenibilità finanziaria e non solo non verrebbero nemmeno prese in considerazione dal Governo. Giusto dunque mettere in luce, quando sono bene espresse, le disamine ed i desiderata dei nostri lettori, ma giusto anche non illudersi che tutto,seppur letto dagli occhi giusti ,possa avere un seguito. Come ben sapete la riforma pensioni resta un capitolo complesso, che va riscritto con accuratezza.

        Rispondi
        • Grazie tante Erica dell’esaustiva risposta, mi fa piacere sapere che le forze sindacali ci leggano, pur non rispondendo. E sono consapevole che di desideri ce ne sono tanti in base alla propria situazione personale e che ben pochi saranno esauditi.
          Quello che ho espresso io in questa pagina, e a cui spero ancora che qualcuno risponderà, è derivato (anche) da proposte ben precise fatte a suo tempo dalle forze sindacali.
          Buon lavoro😊

          Rispondi
  10. Solo una considerazione: con il meccanismo della delega i Direttori nella pubblica amministrazione hanno scaricato sui quadri intermedi le responsabilità mentre si sono mantenuti ovviamente lo stipendio.
    Questo costume indecente è fonte di stress e un costo per i quadri intermedi ampiamente logorante.
    Anche su questo bisogna dire basta, vuoi fare il Direttore, bene allora assumiti oneri e onori compresi quelli pensionistici.

    Rispondi
  11. Penso proprio che la signora Veronica avrebbe dovuto trovarsi nella commissione che tratta le pensioni e portare quella sua lettera come base su cui partire a discutere. Richieste oneste, umane e anche con una visione di sviluppo futuro del nostro Paese. Brava !

    Rispondi
      • Concordo pienamente con Veronica su tutto. Vorrei solo aggiungere di considerare anche chi come me (e c’è ne sono tanti) ha una invalidità superiore a 2/3 (nel mio caso 70%, non sufficiente per avere qualche agevolazione previdenziale), rimasto disoccupato per fallimento dell’azienda a 58 anni, trapiantato con terapia immunosoppressiva a vita, con altre patologie correlate e soprattutto in questo periodo di covid-19 in caso di contagio una maggiore probabilità di complicanze, anche fatali.
        Spero che i nostri politici e i rappresentanti sindacali si ricordino anche di noi al tavolo del confronto sulle pensioni.

        Rispondi
        • La vita si è allungata? E per quale motivo devo schiattare dopo pochi anni di pensione? Questa scusa non c’è più ci ha pensato il Covid 19 a debellare una generazione di pensionati, dove vanno a finire i contributi versati di lavoratori giovani che muoiono di cancro e magari non sono sposati. I signori politici si tagliassero le loro pensioni d’oro, i loro privilegi. Mi auguro che lascino libertà di scelta ai lavoratori dall’età di 62 anni di andare in pensione senza tagli e si dia un futuro alle nuove generazioni, solo così il paese può evolversi, questo è un paese bello, ma anziano. Vogliamo vedere più bambini e meno badanti.

          Rispondi

Lascia un commento