’I fatti hanno la testa dura’’, affermava un rivoluzionario del secolo scorso. Ed è certamente un fatto che – al di là dei contenuti a mio avviso discutibili – si sia aperto un confronto tra governo e sindacati (non si capisce perché siano escluse le associazioni datoriali) sui temi delle pensioni. Ciò dimostra – lo facciamo notare ai sovranisti ostili alle condizionalità richieste per accedere ai finanziamenti europei – che la questione pensioni è una matassa che tocca a noi sbrogliare per la semplice circostanza che le misure adottate dal governo giallo-verde (decreto n.4 del 2019) sono deroghe sperimentali, scadute le quali (alla fine del 2021 e del 2026 rispettivamente per quota 100 e per il blocco dei requisiti della pensione ordinaria di anzianità) – rebus sic stantibus – tornerebbero ad essere applicate le regole della riforma Fornero.
Lo sappiamo; la Ue non nasconde la sua preferenza per quanto disponevano gli articoli 24 e 25 del decreto Salva Italia del 2011. Infatti, nelle Raccomandazioni rivolte al governo italiano, la Commissione è esplicita invitandolo ad ‘’attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni nella spesa pubblica’’ Il governo Conte 2 – lo ha ribadito il ministro Nunzia Catalfo suscitando un plauso da parte dei sindacati, che, detto tra di noi, sono i maggiori sostenitori dell’attuale governo – ha in mente di superare quella impostazione benchè – nessuno è profeta in patria – abbia suscitato l’interesse di tutti gli osservatori internazionali. Perché è necessario intervenire sull’ordinamento pensionistico? Lo riconosce anche la Corte dei Conti nel suo pregevole Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica: ‘’con il 2021 l’opzione di Quota 100 verrà a scadenza e si determinerà un effetto “scalone” che porterà l’età di uscita – in mancanza dei requisiti contributivi previsti per il pensionamento anticipato – dai 62 ai 67 anni’’.
Riforma pensioni, regime transitorio tra norme temporali e quelle strutturali
Diventa necessario, dunque, se si vogliono conservare le deroghe fino alla loro scadenza, prefigurare un regime transitorio tra le norme di carattere sperimentale e temporaneo e quelle, da definire, in via strutturale. La magistratura contabile invia alcuni avvisi ai negoziatori.
1)Nel triennio 2016-2018, le pensioni di anzianità liquidate presentavano, fra i lavoratori dipendenti del settore privato, un rapporto di una donna ogni tre pensionati; con Quota 100 il rapporto, nel 2019, il rapporto è stato di una donna ogni sei pensionamenti. 2) I soggetti che hanno usufruito dell’anticipo avendo effettivamente maturato i requisiti minimi di Quota 100 (ovvero 62 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva) sono stati poco più di 5 mila, ossia il 3% del totale. L’uscita mediante l’utilizzo di quota 100 ha attratto principalmente coloro che – per anzianità contributiva – avevano la minima distanza dalla soglia prevista per l’uscita anticipata (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 mesi per le donne): circa la metà dei lavoratori uomini è andato in pensione con almeno 41 anni di anzianità; le donne con almeno 40 anni di anzianità risultano essere il 53 % del totale, oltre il 30% di loro aveva almeno 41 anni di anzianità. 3) I pensionati con Quota 100 con almeno 66 anni di età (e quindi prossimi al pensionamento di vecchiaia di 67 anni di età) sono stati mediamente il 14% del complesso. Ciò sembra confermare che la discriminante più importante, nell’adesione a Quota 100, sia stata l’anzianità contributiva piuttosto che l’età. 4) Per la valutazione dei “costi” di Quota 100 sarebbe stato importante tenere in considerazione non soltanto la maggiore spesa rispetto al tendenziale, puntualmente considerata dalla Relazione Tecnica, ma anche il maggiore debito pensionistico implicito (valore attuale del flusso di esborsi futuri meno gli introiti a copertura) prodotto dalla norma per il fatto che la concessione di alcuni anni di anticipo della pensione equivale, per la componente retributiva delle nuove pensioni liquidate (ancora piuttosto significativa), ad un trasferimento “non coperto” da contributi. 5) Il grafico mostra come Quota 100 abbia esacerbato una situazione di squilibrio già esistente, che viene tipicamente sanata a carico della fiscalità generale, concedendo l’anticipo pensionistico senza correzione dell’importo della pensione con ben 5 anni di anticipo nel caso estremo. In esso si può, infatti, osservare come la distanza tra contributi effettivamente versati e benefici totali rivenienti dall’assicurazione generale obbligatoria (Ago) già molto elevata in generale, cresca nettamente nel caso del “quotista” classico. In definitiva, come si mostra nel grafico, si può valutare che Quota 100, nell’ipotetica situazione di un soggetto che è andato in pensione con 62 anni di età e 38 anni di contributi, abbia accresciuto di circa il 25 per cento lo scarto tipico che si sarebbe riscontrato sul pilastro retributivo del trattamento pensionistico.
SCARTO TRA BENEFICI PENSIONISTICI TOTALI E CONTRIBUTI SOCIALI VERSATI PER OGNI 100 EURO DI RETRIBUZIONE PENSIONABILE IN REGIME RETRIBUTIVO
Riforma Pensioni ultime novità oggi 30 luglio: ragionamento della Corte dei Conti è organico
Concludendo, la Corte mette le carte in tavola. ‘’Sembra cioè opportuno che da Quota 100 si esca “in avanti”. Sotto tale aspetto, uno dei profili di maggiore delicatezza è quello della flessibilità dell’età di uscita. Al riguardo, proprio grazie alla legge 214/2011, nella legislazione vigente è stata ripristinata l’originaria flessibilità garantita dalla riforma Dini ai lavoratori in regime pienamente contributivo (che hanno iniziato a lavorare dall’1/1/1996) i quali possono accedere al pensionamento con 64 anni di età.’’ Pertanto, secondo il Rapporto, ‘’ la menzionata flessibilizzazione potrebbe essere accordata dentro uno schema che vada gradualmente ad uniformarsi ai 64 anni previsti per l’uscita degli assicurati in regime totalmente contributivo (per esempio si potrebbe mantenere fino al 2023 l’età di 62 anni, nel successivo biennio salire a 63 anni ed infine, a partire dal 2026 arrivare a 64). Naturalmente da quel momento in poi i requisiti dovrebbero essere tutti indicizzati alla speranza di vita e diventare più stringenti al crescere di essa’’.
Il ragionamento della Corte dei Conti è organico e propone una linea di governo della transizione. Seguiremo con attenzione l’evolversi del negoziato tra governo e sindacati che già a settembre dovrebbe entrare nel merito. Dalle enunciazioni ho ricavato la convinzione che i sindacati si premurino di affrontare il problema dell’occupazione (o meglio della disoccupazione) allargando le maglie del pensionamento e delle misure collaterali. Non è una bella prospettiva: la cassa integrazione prorogata il più a lungo possibile, poi il blocco dei licenziamenti ed infine l’approdo ad un trattamento pensionistico anticipato (anche con il surrogato del pacchetto Ape). E i giovani? A loro si pensa per quando saranno pensionati.
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ai giovani si deve pensare ora, quindi dato che i posti di lavoro scarseggiano quale soluzione migliore se non permettere a chi è una vita che versa i contributi di cedergli il posto ? ma no,questi devono restare li fino a 43 e oltre anni,intanto i ragazzi vivacchiano con lavori saltuari ,poi si fra qualche anno il fenomeno di turno farà q41 OBBLIGANDO di fatto i nostri figli a restare al lavoro almeno fino a 65 anni. perchè in via provvisoria non allargare q100 anche a coloro che superano i 41 anni di contributi ? questo darebbe un sentore di giustizia sociale.
Io vorrei SOLO indietro i MIEI SOLDI VERSATI …. e li vorrei come e quando voglio io visto che sono miei.
RIAVERE i miei soldi non è debito di stato !!!!
I Parassiti sono tutti quelli che ricevono piu di quello che hanno versato, che ci restino loro al lavoro fino a 75 anni allora ….
Ma una riforma semplice e chiara x tutti?
41XTUTTI SENZA VINCOLI DI ETÀ O DI CONTRIBUTI
QUOTA 100 ANCHE QUESTA SENZA VINCOLI DI ETÀ O DI CONTRIBUTI.
PER le donne un anno meno.
X QUELLA DI VECCHIAIA L’ETÀ MEDIA EUROPEA……….
Il sig. Cazzola si dimentica di dire che la sostenibilità dei conti INPS era certificata fino al 2050 e che i veri problemi, quelli che creano i buchi miliardari nei conti, sono due: 1) l’assistenzialismo (pensioni finti invalidi civili e assistenzialismi vari non a carico della fiscalità generale dello stato ma a carico dell’INPS, cioè di coloro che hanno versato i contributi veri, reali, non figurativi); 2) l’aver scaricato sull’INPS le pensioni INPDAP cioè dei dipendenti pubblici per i quali sono stati versati dallo stato contributi “figurativi” cioè pari a zero, però le pensioni sono pagate con i contributi dei privati che i soldi li hanno versati veramente e per decenni. Solo il primo anno questo fatto ha procurato un buco nell’INPS di quasi 10 miliardi di euro che ovviamente si aggiungono e moltiplicano ogni anno con i nuovi pensionati dello stato. E adesso ci vengono a dire che c’è il problema “sostenibilità pensioni”? E’ tutta una truffa a carico dei dipendenti e pensionati privati che pagano e pagheranno pesantemente le politiche dissennate di questo paese allo sbando.
Grazie Marco per la sua puntuale disamina
Grazie a Lei, Sig.ra Erica, per la pubblicazione.
Condivido pienamente questo commento.
A mio parere serve precisare che ai dipendenti pubblici vengono fatte ritenute previdenziali direttamente in busta paga…che poi vengano utilizzate ai fini previsti dagli istituti… non è dato sapere
Bravo.
Sulle pensioni in Italia sono anni che si fa molta mitologia negativa, a volte con dati sparati a casaccio, spesso per giustificare ulteriori tagli e restrizioni, per non parlare dell’eterna colpevolizzazione (sport praticatissimo in Italia) di pensionati e pensionandi.
Per esempio, ho letto perfino che noi spenderemmo per le pensioni, in rapporto al PIL, “il doppio della media dei paesi avanzati”.
Non è vero.
Secondo dati di Eurostat, nel 2016 la media Ue (a 28 Paesi) era del 12,6 per cento del PIL e quella dell’area euro (a 19 Paesi) del 13,3 per cento.
Siamo non moltissimo al di sopra della media, certo nulla di paragonabile al “doppio”.
E se noi spendiamo per le pensioni il 16.1% del PIL, un paese nostro vicino e in molte cose paragonabili al nostro, la Francia, ci va vicino con il suo 15.1%.
Non siamo così tanto “scandalosamente spendaccioni”, e questo anche al di là dell’annosa questione che andrebbero tenute separate previdenza ed assistenza.
Per carità, sappiamo tutti quali sperequazioni ci sono, da decenni, sulle pensioni.
E’ una sperequazione, per esempio, quella dei “baby pensionati”, comunque di per sè legittima e fatta peraltro un’era geologica fa, quando si vedevano prospettive di sviluppo continuo per l’Italia che poi purtroppo si sono schiantate contro la globalizzazione (che non è colpa nostra) e lo stop all’innovazione in questo paese (che invece è solo colpa nostra, ovvero della nostra classe imprenditoriale e manageriale oltre che della classe politica).
E’ una sperequazione, per esempio, il fatto che un giovane possa riscattare gli anni di laurea in modo ampiamente agevolato mentre chi ha versamenti prima del 1996 non può farlo.
E’ una sperequazione, per esempio, che dipendenti di aziende medio-grandi possano spesso ricorrere a pensionamenti anticipati collettivi mentre ciò non è praticamente mai possibile per chi lavora in aziende piccole.
Ecc. ecc.
Sappiamo bene che le pensioni sono una giungla.
Però, soprattutto negli ultimi decenni, sono una giungla che sempre più spesso divora chi vi si “avventura”, non una giungla dove si trovano “tesori”.
E, a differenza di come spesso viene fatto intendere, sono un “paese di Bengodi” per felici, spensierati e magari egoisti pensionati solo in rari casi.
Gli altri, la grande maggioranza, arranca e spera.
Ricordarlo, ogni tanto, non fa male.
Il sign. CAZZOLA nel suo intervento non comprenderla stretta relazione tra età di pensionamento e disoccupazione di giovani e adulti. Quota 100 ha dimostrato che se si abbassa l’età di pensionamento si aumenta l’occupazione di giovani e adulti. Questo ho verificato personalmente nel mio posto di lavoro. L’aumento dell’età di pensionamento determina i vecchi al lavoro e i giovani a casa senza potersi programmare un futuro (vita indipendente, figli, ecc). Ecco perché Quota 100 è stata una norma di notevole importanza nel privato e nel pubblico impiego. L’alternativa è reddito di cittadinanza a vita e depressione o incazzatura feroce di figli e padri.
In ogni caso, bene ha fatto il governo a confermare Quota 100 fino al dicembre 2021 e speriamo che i sindacati e il ministro del lavoro Catalfo nel corso del 2021 possano preparare una riforma complessiva della famigerata Legge Fornero.
Io che sono invalida dell’ 80 percento spero che mi sia aumentata anche a me perché anche io ho passato una visita di commissione.
Solo invalidi al 100%
Sig. Totuccio, condivido pienamente quanto da Lei scritto.
Grazie a Totuccio il cui intervento appoggio. Ringrazio anche Salvini per quota 100, senza la quale non so quando sarei andata in pensione e se ci sarei andata senza seri problemi di salute, dato che sono OSS. In agosto del 2021, invece potrò finalmente accedere ad un degno riposo