Il dibattito sulla riforma delle pensioni resta caldo, e entrando nell’autunno proseguiranno le discussioni tra Governo e Sindacati sull’argomento. Uno dei temi centrali è anche l’aumento delle pensioni minime, sopratutto per cercare di garantire ai giovani di oggi un assegno dignitoso anche in caso di pochi contributi versati a causa della precarietà del mondo del lavoro. Trovare una ricetta che metta tutti d’accordo non sembra semplice, vediamo le ultime notizie di oggi
Pensioni minime e aumento futuro: i lavoratori di oggi saranno i pensionati più penalizzati
Un punto cruciale sulle pensioni minime riguarda chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi (ossia chi è con il sistema contributivo). La riforma delle pensioni del ‘95 infatti non garantisce il trattamento con integrazione al minimo (oggi 517,07 al mese) per tutti questi lavoratori. In poche parole questo significa che i lavoratori di oggi (chi ha iniziato dal 96 in poi) saranno i pensionati più penalizzati, sia se sono lavoratori dipendenti, ma ancor di più in caso di autonomi e i liberi professionisti che versano alla gestione separata.
Non va poi dimenticato che molti lavoratori oltre ad esser nel sistema contributivo puro sono anche lavoratori precari, e quindi in assenza di una garanzia di pensione minima, l’Italia rischia di partorire fra qualche decina d’anni un esercito di pensionati che farà la fame. Proprio a questo proposito il ministro del lavoro Nunzia Catalfo ha fatto sapere che è necessario tutelare i lavoratori più giovani e che una ricetta potrebbe esser quella di ricorrere ad una pensione di garanzia.
Aumento Pensioni Minime nel 2021: sindacati e Governo a lavoro per una soluzione?
I sindacati, già tempo fa hanno fatto sapere che sull’eventuale garanzia per le pensioni minime: “Per noi è importante che la soluzione individuata tenga insieme una risposta ai giovani con un’equità complessiva del sistema: un risultato difficile da raggiungere ma sicuramente possibile se si lavora a testa bassa”. Tra le proposte sul tavolo l’idea principale sarebbe quella di garantire una pensione minima fra 650 e 780 euro mensili per coloro che andranno in pensione di vecchiaia con almeno 20 anni di contributi. In qualche modo la riforma andrebbe a ricalcare quella intrapresa sulle pensioni di invalidità.
Per gli esperti sarebbe quindi necessario riattivare un integrazione al minimo per le pensioni, magari non attraverso l’aiuto assistenziale da parte dello stato, ma direttamente da un “fondo previdenziale integrativo pubblico gestito dall’Inps”, come proposto dall’attuale presidente Pasquale Tridico. Quest’idea proposta dal numero uno dell’INPS non piace troppo ai sindacati, ma sicuramente piace alle forze politiche.
E per le pensioni minime attuali? Al momento le diverse proposte di integrare le minime alla soglia del reddito di cittadinanza (780 euro) non hanno trovato riscontro. Non resta che aspettare e vedere come si evolverà la situazione nei prossimi mesi, noi vi aggiorneremo su tutte le decisioni del Governo.
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30 anni di lavoro e 30 di contributi. Pensione di euro 605,00, è mai possibile? E dite che la soglia di povertà è 780 euro! Si parla di reddito di sopravvivenza, di cittadinanza ma nessuno parla anzi si batte per portare le pensioni quantomeno al livello del reddito di cittadinanza.
Sempre più schifo
MI DOMANDO SE LA SOGLIA DI POVERTA ‘ SAREBBE 780 EURO COME MAI VI SONO PENSIONI PIU’ BASSE DI QUESTA CIFRA
PENSIONI DA VERSAMENTI NON SOCIALI
PERCHE’ VIVONO IN EUROPA NON ITALIA MA CHE GIUSTIFICAZIONE SAREBBE QUESTA.